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Il ruolo dell'M&A per rafforzare la competitività del sistema vitivinicolo nazionale

3 luglio 2025 | Legge applicabile: Italia | 11 MINUTI DI LETTURA

"Come affrontare e superare la sfida al consolidamento/aggregazione di una industria ancora molto frammentata? Quali strade? E quali strumenti?"

Il settore vitivinicolo in Italia è da sempre riconosciuto come un'eccellenza dell'agroalimentare, capace di contribuire, da solo, all'1,1% del PIL. Il nostro paese è uno dei leader mondiali della produzione di vino, anche grazie alle competenze sviluppate in secoli e secoli di viticoltura. Si tratta, tuttavia, di un settore che, anche in ragione della frammentazione dell'offerta, presenta notevoli potenzialità di sviluppo. 

Il presente contributo si propone di analizzare le criticità che fino ad oggi hanno ostacolato l'aggregazione degli operatori del settore e di proporre strumenti che possano essere utilizzati per favorire maggiormente la competitività del sistema vitivinicolo italiano. 

Private Equity

L'ingresso di investitori finanziari in società è spesso visto di buon grado dagli imprenditori, poiché la diversificazione nella compagine sociale consente di ampliare le competenze ed i contributi offerti e fornisce la finanza necessaria per accelerare il processo di crescita, dando anche il là ad ulteriori acquisizioni e consolidamenti.  Tuttavia, storicamente il coinvolgimento del mondo del vino in operazioni con fondi di private equity è stato più limitato rispetto ad altri settori del Food&Beverage, anche se negli ultimi anni si sono comunque viste alcune operazioni importanti (spinte anche dal prestigio e riconoscimento sul mercato di taluni marchi e dalle potenzialità di sviluppo nei mercati esteri).

La ragione alla base di questa peculiarità deriva probabilmente dal fatto che l'Italia del vino è composta, da un lato, da numerose aziende di piccole dimensioni, spesso a conduzione familiare, e perciò poco attrattive per gli investitori finanziari, e, dall'altro, da imprese medio-grandi, la cui significativa componente immobiliare e patrimoniale può tuttavia rappresentare un ostacolo. Infatti, i fondi di private equity tendenzialmente prediligono realtà più snelle, con asset facilmente liquidabili.  L'ingresso da parte di un fondo di private equity in un'impresa vitivinicola richiede un forte impegno finanziario il cui ritorno è di lungo termine, mentre il consueto time-to-market per i fondi di private equity è indirizzato a tempi più brevi. 

...è necessario individuare possibili soluzioni per accelerare ancor di più l’avvicinamento del private equity al settore vitivinicolo...

Proprio per questo, l'ingresso dei fondi nel settore ha caratteristiche peculiari: per i player finanziari il modello di investimento preferito è quello della separazione tra terreni e componente commerciale/distributiva. Ciò è reso evidente dai diversi rendimenti espressi dalle società vitivinicole in funzione della maggiore o minore intensità di capitali investiti in terreni ed immobili. Il focus tradizionale degli investimenti è su società asset light che abbianouna consolidata rete commerciale di vendita e brand da sviluppare in Italia e all'estero. Ed infatti, non a caso i progetti di investimento dei fondi di private equity più attivi nel settore in Italia sono (quasi) tutti rivolti a società con limitata componente real estate. Si pensi ad esempio ai fondi Clessidra e NB Renaissance (il cui investimento è stato poi rilevato da Platinum), che hanno puntato su cantine senza terreni e tenute rilevanti. 

Un altro elemento che "frena" l'ingresso dei fondi, oltre all'alea insita al mondo agroalimentare (dove la componente metereologica è difficilmente controllabile e potrebbe portare ad una cattiva annata proprio a ridosso dell'exit del fondo) è da rinvenirsi nella scarsa managerializzazione delle imprese vinicole, dove sovente l'imprenditore ha fortemente personalizzato la gestione aziendale, divenendo addirittura indispensabile per i processi operativi quotidiani. 

Alla luce di quanto sopra, è necessario individuare possibili soluzioni per accelerare ancor di più l’avvicinamento del private equity al settore vitivinicolo, ma anche per rafforzare il processo di aggregazione e consolidamento in generale. In tal senso, riportiamo qui di seguito alcuni spunti pratici la cui implementazione potrebbe a nostro avviso produrre effetti positivi sull'intero comparto:

  • l'incentivazione - sia sotto il profilo fiscale che legale - di un nuovo modello di business di settore che veda strutture societarie - e relative forme contrattuali - in cui il veicolo che detiene i terreni (e spesso anche i trophy asset o surplus asset) sia separato dalla società operativa/commerciale, proiettata allo sviluppo e rafforzamento del brand in Italia e all'estero. Solo tale ultima società diverrà il target dell'investimento da parte dei fondi di private equity;
  •  la costituzione di fondi immobiliari che abbiano appunto come focus l’investimento su asset tangibili (e relativamente poco rischiosi, dato il loro valore residuo di liquidazione) quali il real estate (fondi agricoli coltivati a vigneti di determinate qualità vitate), e abbiano finestre di entrata ed uscita più consone ai tempi scanditi dalla natura e dalla maturazione e invecchiamento dei vini; 
  •  lo sviluppo di forme di finanziamento più sofisticate della classica ipoteca su terreni ed immobili con nuove forme di collaterali e di garanzie quali il pegno non possessorio o floating charge sul magazzino, o, ancora, ipotesi di sale and lease back dei terreni (a cui potrebbero essere interessati anche fondi istituzionali stranieri);
  •  presenza di management professionale che possa essere alla guida della futura impresa allargata e faro per eventuali ulteriori sviluppi.

Aggregazioni tra partner industriali

Il superamento delle limitazioni dimensionali che caratterizzano le imprese italiane può essere perseguito anche attraverso operazioni di M&A o aggregazioni tra più operatori del settore. Tali operazioni offrirebbero alle aziende l’opportunità di diversificare il portafoglio, accedere a nuovi mercati e acquisire brand in modo più strutturato e competitivo.  La necessità di creare una massa critica sufficiente per affrontare le complessità (e i costi) dei mercati globali sta in effetti portando ad un rapido processo di consolidamento tra gli operatori del settore. Infatti, da un'analisi di Mediobanca relativa all'anno 2023 emerge che, per la prima volta, nella classifica delle principali cantine italiane per fatturato il podio non è dominato dalle cooperative.

Tuttavia, all'atto pratico la realizzazione di queste strategie incontra ancora ostacoli significativi, legati sia alla complessità del passaggio generazionale sia alla necessità di mantenere l’unitarietà del patrimonio aziendale, quest'ultimo un aspetto centrale dato il forte legame patrimoniale che caratterizza il business vitivinicolo italiano. Per favorire un cambiamento e incentivare tali operazioni, sarebbe auspicabile l’introduzione di incentivi fiscali per le aggregazioni tra i produttori, come ad esempio la detassazione o crediti d'imposta per le aziende che si fondono o si consorziano, o ancora la deduzione delle spese di marketing e promozione comune tra aziende aggregate. In questo senso, notiamo che il legislatore sta proprio in questi mesi lavorando ad un nuovo testo legislativo che preveda agevolazioni fiscali per la crescita dimensionale delle imprese e per favorire le aggregazioni industriali. Pur trattandosi di un intervento modesto e rivolto alle PMI in generale, potrebbe comunque rappresentare l'occasione per iniziare a discutere di un auspicato intervento ad hoc che rispetti le peculiarità del settore vitivinicolo. 

Al di là della creazione di un ecosistema giuridico e fiscale di favore, rimane comunque fondamentale promuovere una cultura imprenditoriale orientata alla collaborazione e alla creazione di sistema.  Ciò potrebbe tradursi non solo e non necessariamente in fusioni tra imprese, ma anche eventualmente nella messa in comune della piattaforma marketing e distributiva, soprattutto in mercati esteri complessi (come, ad esempio, gli Stati Uniti), attraverso Joint Venture societarie o contrattuali. In particolare, le aggregazioni mirate su base contrattuale (piuttosto che societaria) potrebbero aiutare a mettere determinate competenze e risorse a fattor comune con riferimento a progetti specifici superando eventuali incompatibilità o differenze strategiche che potrebbero invece frenare un'integrazione societaria tout court.  

Passaggio generazionale nel settore vitivinicolo

Nel nostro Paese e in particolare nel settore vitivinicolo, una delle principali sfide per le imprese, spesso caratterizzate da una forte identità famigliare e tradizioni storiche, è la gestione del passaggio generazionale. La realizzazione di un efficace passaggio generazionale nelle aziende agricole, in particolare in quelle vitivinicole, rappresenta una sfida complessa e articolata. L'attività agricola, infatti, è caratterizzata da costante dedizione, in quanto tale contesto richiede intrinsecamente un impegno autentico. 

I mutamenti del contesto economico, ambientale e sociale, l'emergere di nuovi modelli culturali e la crescente concorrenza internazionale rendono indispensabile affiancare alla tradizionale gestione agricola una visione strategica, una forte capacità di innovazione, un'adeguata organizzazione e competenze avanzate di marketing. Tali complessità possono ostacolare l'identificazione, tra le nuove generazioni, di individui competenti e disposti ad assumersi la responsabilità della gestione dell'impresa agricola-familiare. 

Il successo del passaggio generazionale dipende dal fondatore, il quale deve essere in grado di riconoscere il momento giusto per cedere il testimone alle nuove generazioni, accompagnare la loro crescita professionale, predisporre un'organizzazione aziendale solida e delegare progressivamente i ruoli di maggiore responsabilità. Il passaggio generazionale rappresenta dunque un momento complesso e di importanza primaria per la sopravvivenza dell'impresa e richiede una pianificazione graduale, oltre ad una preparazione adeguata, sia in termini di competenze gestionali che di responsabilità proprietaria.

In questo contesto, per garantire il rispetto dei valori e delle politiche chiave della "famiglia imprenditoriale", evitando futuri conflitti e dispersioni patrimoniali, è fondamentale creare una realtà caratterizzata da un dialogo aperto e continuo tra le diverse generazioni, predisponendo il coinvolgimento graduale della c.d. next gen nelle dinamiche famiglia-impresa. Il criterio di gradualità sarà pertanto la chiave di volta nei processi di introduzione delle nuove generazioni all'interno delle due principali sfere operative: la governance familiare e la governance dell'impresa. A tal fine, è centrale il momento formativo delle nuove generazioni, che dovranno acquisire le opportune competenze tecniche e manageriali per affrontare le sfide derivanti dal coinvolgimento attivo nei processi decisionali.

Il successo del passaggio generazionale dipende dal fondatore, il quale deve essere in grado di riconoscere il momento giusto per cedere il testimone alle nuove generazioni...

Affinché tale percorso di transizione sia realmente efficace, è essenziale che la struttura di governance sia supportata da strumenti giuridici idonei a regolare i rapporti tra i membri della famiglia e a disciplinare i meccanismi di accesso e gestione del potere decisionale. In questa prospettiva, la predisposizione di una Family Constitution rappresenta uno possibile soluzione. Questo documento, pur avendo una natura meno vincolante rispetto ai patti parasociali, consente di formalizzare i valori condivisi, di istituire organi di governance familiare (tra cui la Assemblea di Famiglia e il Consiglio di Famiglia) e di definire criteri oggettivi per l’ingresso delle nuove generazioni negli organi amministrativi o in ruoli direttivi, nonché di regolare le politiche retributive dei familiari attivi nell’impresa. La Family Constitution, quindi, contribuisce a prevenire conflitti e a garantire coerenza e continuità nella gestione intergenerazionale dell’impresa. Naturalmente, a tale impianto di governance familiare può e deve affiancarsi un’adeguata configurazione degli assetti societari.

Nelle società a responsabilità limitata, ad esempio, può esser prevista l'introduzione di specifici diritti particolari ai sensi dell’art. 2468 comma 3 c.c. Tali diritti, attribuibili sia in sede di costituzione sia mediante modifica statutaria all’unanimità, consentono di distinguere tra "soci di capitale", interessati prevalentemente alla percezione degli utili, e "soci amministratori", coinvolti attivamente nella gestione operativa. Questa distinzione si rivela particolarmente utile nel passaggio generazionale, poiché permette di soddisfare le diverse aspettative della nuova generazione, garantendo da un lato la continuità gestionale e, dall’altro, la tutela degli interessi patrimoniali dei soci meno coinvolti nella governance. I diritti particolari, infatti, sono legati alla persona del socio e non alla quota, il che assicura che la governance rimanga nelle mani di chi è effettivamente designato, senza il rischio di un trasferimento automatico in caso di successione o cessione della quota, salvo diversa previsione statutaria.

In sintesi, la combinazione di strumenti “soft law” come la Family Constitution e di alternative di “hard law”, come i diritti particolari nelle s.r.l. (o le categorie di azioni nelle S.p.A.), consente di costruire un percorso di passaggio generazionale graduale e coerente con i valori della famiglia, assicurando al contempo una governance stabile e funzionale alle esigenze di continuità e sviluppo dell’impresa familiare.

Infine, risulta fondamentale anche promuovere la managerializzazione delle imprese, favorendo l’inserimento di figure manageriali esterne alla compagine familiare, dotate di elevate competenze tecniche e gestionali. L’assenza di top e middle manager rappresenta una delle principali criticità del settore, dove troppo spesso i soci assumono ruoli operativi, limitando così la crescita e la competitività aziendale. Questa commistione tra proprietà e gestione, tipica di molte PMI italiane, comporta una scarsa distinzione tra i ruoli e le responsabilità dei soci e manager, ostacolando l’adozione di strategie manageriali moderne e funzionali. Invero, i dati e le esperienze di settore dimostrano che le imprese vitivinicole che si affidano a manager esterni sono in grado di gestire con maggiore efficacia i processi di passaggio generazionale e risultano decisamente più attrattive agli occhi degli investitori, grazie a una governance più solida e a una visione strategica orientata all’innovazione e alla crescita.

Quotazione in borsa

Sia in Italia che a livello internazionale, il numero di società vinicole quotate in borsa rimane estremamente limitato. Nel panorama italiano, tra le principali realtà presenti sul mercato azionario si annoverano Compagnia dei Caraibi, Italian Wine Brands e Masi Agricola, tutte quotate sul listino Euronext Growth Milan, il listino dedicato alle PMI. La performance complessiva delle aziende vinicole quotate resta generalmente inferiore rispetto ai principali indici di borsa mondiali, anche per via della forte frammentazione del mercato e della pressione sui margini di profitto.

Alla luce di queste dinamiche, la quotazione in borsa, almeno allo stato attuale, non appare una soluzione particolarmente attrattiva per la maggior parte delle imprese vitivinicole italiane, che continuano a preferire modelli di crescita più tradizionali e meno esposti alla volatilità dei mercati finanziari.

Redatto in occasione dell'incontro Envisioning2035 – Wine (R)evolution: Piano strategico per il vino italiano (Milano, 2025)

Il presente documento (e tutte le informazioni a cui si accede tramite i link in esso contenuti) è fornito a scopo puramente informativo e non costituisce una consulenza legale. È necessario richiedere una consulenza legale professionale prima di intraprendere o astenersi da qualsiasi azione in seguito alla lettura del contenuto di questo documento.

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